6 maggio 2005 a Cosenza con Umberto Eco
All’Università della Calabria una marea di gente attendeva da ore fuori tra i cubi delle facoltà, quando arrivai poco prima delle 11,00 di quel 6 maggio 2005; per riuscire a entrare forse riferii che facevo parte di un giornale, non era facile varcare la soglia, troppa gente, ma io quella conferenza volevo ascoltarla. Lo scrittore piemontese era per la prima volta in Calabria. Non capitava tutti i giorni che un critico, giornalista, opinionista venisse in quella terra d’amore e di tormento, mi facevo largo io che, riflettendo col senno del poi, m’impegnavo, continuavo ad andare avanti in cerca di interpretazioni della realtà, faticando. Fin dai tempi delle superiori anche il reperire testi e vocabolari tra amiche e biblioteca comunale del paese, richiedeva il suo tempo e impegno. L’aula magna era stracolma da entrambi i lati, entrai percorrendo quella sorta di scala a gradini larghi che scendeva e guardai in fondo: al tavolo dei relatori lo scrittore non era ancora arrivato. Guardai a destra e a manca, non c’era un posto libero, dietro e accanto a me molte, troppe persone che si trovavano nella stessa mia condizione e con la mia stessa domanda: dove mi piazzo? Qualcuno si sedette davanti a me, qualche fotografo fece altrettanto ai miei piedi e io non ci pensai due volte: mi sedetti dove mi ero fermata. Attesi che i relatori arrivassero, quando arrivò Umberto Eco, inconfondibile, scattarono applausi. La conferenza era sul tema “Riflessioni illustrate sulla bellezza”, sulla quale non ero assolutamente preparata: ero là per ascoltare opinioni e pareri, armata di curiosità e interesse per chi aveva scritto un romanzo come “Il nome della rosa” tanto noto quanto misterioso, che mi aveva catapultata nel medioevo vestito di giallo. Lo scrittore semiologo ha cominciato a esporre le sue opinioni in un excursus, accompagnato da immagini, su ciò che nella storia è stato definito bello da Platone a Kant ai giorni nostri. Dipinti, opere d’arte che evidenziavano luce, proporzioni, integrità… opere che rientrano nel bello perché quel dato periodo, quella cultura definiva sublime quel tipo di bello, che in altri momenti non aveva assunto lo stesso attributo. Dunque non è immutabile la definizione di bellezza e infatti le diapositive si sono concluse con una bella macchina sportiva e una foto dell’allora Presidente del Consiglio. Molto ho dimenticato di quel giorno, ma non ho rimosso la preziosa espressione che Umberto Eco disse riguardo all’insegnamento: “il rapporto con i ragazzi mi mantiene in vita”, né il momento di quando, dopo l’autografo sul suo “Cinque scritti morali”, scambiai poche parole e lui stringendomi la mano disse soltanto “auguri”. Cercai di incorporarli tutti.
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