400 metri di sogno, in una notte di mezza estate
È una sera d’estate, quasi notte, tempo di stelle e sogni.
Fa molto caldo, non riesco ad addormentarmi, forse potrei provare a raccontarmi una favola.
C’era una volta un ragazzo, che amava un po’ i Beatles e poco i Rolling Stones, che preferiva Edoardo Bennato e i Depeche Mode e che sognava di diventare un campione nel mondo dell’atletica.
Quel ragazzo credeva che un giorno avrebbe vinto i campionati italiani e che sarebbe arrivato a gareggiare alle Olimpiadi e chissà, perfino a conquistare una medaglia.
Correva spesso quello che viene definito il giro della morte… il giro della morte, già, ma pure quando affrontava quell’ultima curva con l’adrenalina che scorreva nel sangue, l’acido lattico che saliva fino alle tempie, contro il tempo, la fatica e gli avversari, si sentiva più vivo che mai.
Quel ragazzo era veloce e grintoso ed aveva un discreto talento, ma cominciò a crescere e tra limiti ed avversari iniziò a rendersi contro che realizzare i suoi sogni sarebbe stato molto difficile, quasi impossibile.
Ma, anche se da adulti sognare è sempre più difficile, quel ragazzo divenne un uomo e riuscì a togliersi alcune soddisfazioni, vincendo i campionati provinciali, regionali e riuscendo a stabilire il tempo minimo per correre ai campionati italiani. Quell’ex ragazzo trovò la sua compagna di vita, la vita oltre la sesta corsia, quella fuori del campo. Non corse più veloce come prima, ma continuò ad amare quello che era stato il suo mondo per tanti anni.
Si, quel ragazzo è cresciuto, eppure nei suoi occhi, di tanto in tanto, un lampo di fanciullezza illumina il volto da adulto.
Ogni tanto, nonostante i tendini cronicamente infiammati, quel ragazzo rimette le scarpe da ginnastica. Ora va molto piano, ed è ingrassato, ma quando corre accanto a sua moglie, o dietro i suoi figli, si sente il più veloce e forte del mondo.
L’adulto che è oggi, malgrado il doping, truffe, scambi di sangue e corruzione, fa ancora il tifo per Paolo Bettini, adora le bandiere giallorosse all’Olimpico, si illumina alla rovesciata di Taddei e ai cucchiai di Totti, trattiene i fiato quando corre Asafa Powell, ma riesce ad essere un po’ più distaccato di un tempo quando segue un evento sportivo. Lo sport come gli veniva raccontato, lo sport come dovrebbe essere, crede non esista più, crede che quel mondo sia un po’ meno reale nel suo splendore, soprattutto è convinto che siano meno reali i sogni di gloria dei campioni di oggi… meno reali, no… forse il contrario: molto più pratici invece, troppo pratici forse. Come i valori dello sport, tanto decantati, ma purtroppo oggi troppo spesso identificati con i valori depositati in banca.
Il sogno è finito e così la favola…
Ma una favola non può finire male.
In una notte d’estate allo stadio olimpico è successo qualcosa ed il sogno, la favola, è ricominciata.
Pistorius… l’appellativo di un antico romano oppure quello di un eroe di fumetti adesso tramutati in un film alla Matrix? No, è semplicemente il cognome reale di un ragazzo reale che corre veloce incontro al suo sogno.
Il suo sogno è lo stesso che aveva tanti anni fa quel ragazzo, quello con i tendini infiammati…
Ma Oscar, questo il suo nome (anch’esso da vincitore, da predestinato alla gloria o forse semplicemente è lo stesso che aveva suo nonno), va molto più veloce dell’eroe di cui vi ho raccontato qualche riga fa: lui ce la può fare sul serio!
Ma qua subentrano degli orridi mostri: non sono draghi, semplicemente freddi regolamenti, scritti in maniera precisa ed asettica, grammaticalmente perfetti, così lontani dallo stile, dal linguaggio, dalla fantasia e dal colore con i quali si scrivono le favole.
Oscar non è come tutti gli altri, perché al posto dei piedi ha delle lamelle, che all’inizio fanno un po’ impressione, poi però, quando incontri il suo sguardo, non ci pensi più. Quando lo vedi correre, con l’inquadratura che va dal ginocchio in su, è come tutti gli altri, la stessa fatica.
Pare che quelle lamelle lo aiutino un po’ troppo nel rettilineo finale… io di fisica non ne so nulla, non so se questo sia vero, solo però, che mi sembra che nelle curve e sui blocchi Oscar, invece, abbia degli svantaggi… di appoggio, di spinta e di equilibrio.
Quel ragazzo di inizio pagina non era molto alto: che forse si è mai lamentato perché i suoi avversari erano più alti ed in alcune circostanze forse avvantaggiati dal fisico?
Quel ragazzo di inizio pagina correva contro atleti di squadre militari e non poteva permettersi gli stessi allenamenti, le sedute di massaggi, le stesse scarpe ultra performanti, quindi forse non gareggiava nelle stesse condizioni…
Quel ragazzo non pensava che si dovesse ricorrere a sostanze strane per correre più velocemente, eppure già ai suoi tempi c’era chi cominciava ad abusare di aminoacidi e sofisticati integratori.
No, non sono proprio convinto che Pistorius sia un male per lo sport, non credo che sia lui a mettere in difficoltà e addirittura paura allo sport. Mennea ha detto una cosa giusta ed anche molto bella: non bisogna aver paura di ciò che si vede, ma di quello che non si vede. Non ho paura di un uomo con arti artificiali; ho più paura di uomini simili ad Hulk che da un giorno ad un altro, senza neppure diventare verdi, mettono su chili di muscoli.
Io non vedo un uomo bionico sulla pista, io vedo semplicemente un uomo. Che corre col cuore, con coraggio e volontà. Che non vuole porsi limiti, che vuole affrontare i suoi avversari, il tempo che scorre e le sue paure. E chi ha la mia età, over 37, si ricorda che, in fondo, l’uomo bionico batteva i “super-cattivoni” soprattutto grazie al cuore impavido e all’animo buono.
Pistorius è la speranza di quel ragazzo che ero, la speranza dell’uomo che sono, la speranza che anche nelle difficoltà il cuore ti porti lontano, la speranza che i sogni si possano ancora realizzare, la speranza che ognuno possa avere una possibilità. E spero che questa speranza si tramuti in vento alle sue spalle in una ipotetica finale olimpica. No, non è pietà, non è patetismo, è solo solidarietà per l’atleta, per il sognatore.
Mi fanno male i tendini oggi, ma ho voglia di andare a correre. Forse voglio inseguire il ragazzo che ero, voglio ritrovarlo, ma in realtà quel ragazzo, o almeno il suo stesso bagliore nello sguardo lo ho già ritrovato, in una sera d’estate, in nona corsia dello stadio Olimpico, negli occhi di un ragazzo sudafricano.
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