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30 Settembre 2018: un nuovo inizio?

30 Settembre 2018: un nuovo inizio?
Ottobre 01
15:00 2018

È quel faccione tondo, che mi campeggia sullo schermo della tivù,  blaterando,  a chi è stato stuprato e torturato, che “È finita la pacchia”, che mi ha fatto  scendere a Roma per la manifestazione del PD.

Ho dovuto superare il viaggio in un bus pieno zeppo, con i compagni del PD, partenza 5,30 del mattino, cercando di non socializzare per dormire un po’.

E, poi, Roma la bella (per noi che non ci viviamo), la metropolitana, e, finalmente, la Piazza!

Sono venuta qui, anni fa, per la manifestazione “Se non ora quando”, con le mie figlie. Allora, ero speranzosa che si potesse cambiare, che ci saremmo liberati di tante brutture e  avevo anche appena presentato a Roma un mio libro di racconti contro la violenza sulle donne.  Allora, si  entrava con difficoltà nella piazza, affollatissima.

E, oggi, forse, di più! 50000 o70000, dicono,  io non so, ma certo che c’è gente arrampicata dappertutto! Gente che sventola bandiere del Partito, del nostro Paese, di quell’Europa sfatta che presto, forse, non esisterà più.

Gente che ha mantenuto con onestà i propri valori, che non ha ceduto alle promesse di un improbabile Eden, che non ha barattato l’amore con l’odio, gente che ricorda la storia e che ha paura per un paese tanto debole. Ci sarà anche qualcuno, come me, che non si muove mai ma che ha deciso che non si può non fare niente.

Mi hanno educata a pensare (altri tempi!) che si deve sacrificare anche la propria vita,  se necessario.

Forse, le parole del nostro inno nazionale, che ho considerato sempre sorpassate, tornano, invece, vive. “Siam pronti alla morte, l’Italia chiamò”. Forse,  dobbiamo essere pronti, non dico alla morte ma all’impegno, perché l’Italia ha fame di persone che provino ad affrontare i problemi con realtà e passione.

Non parlo dei politici, di qualsiasi partito, che, alle volte, in una campagna elettorale permanente, non hanno paura a mentire per vincere, a sacrificare la gente, blandendola con  illusioni e  bugie. Magari, perché questi politici hanno, finalmente, trovato un lavoro che mai avevano avuto  e non vogliono perderlo.

Parlo, invece, della gente, la gente che mantiene la sua parola e che è qui, a Roma, a far sapere che esiste ancora.

Sul palco, a parlare, oltre al Segretario Martina, sono salite persone comuni che si confrontano con i tanti problemi complessi di questo paese, difficilmente risolvibili a colpi di face book e decreti. Come ad esempio, il caporalato, il lavoro, la libertà di stampa, i diritti dei figli di  genitori separati, il diritto alla salute dei bambini, l’integrazione…

Importante è stato anche l’intervento relativo a Genova che i liguri, come me, possono ben intendere. Oltre al grandissimo dolore per gli innocenti che hanno perso la vita nel crollo del ponte,  per gli sfollati, per chi è rimasto senza  casa con tutto il suo contenuto di affetti, noi, in Liguria, eravamo già tagliati fuori dalle comunicazioni. Da anni, senza gronda (bretella autostradale per smaltire il traffico), senza terzo valico (miglioramento della rete ferroviaria), con i tir che ci ossessionano ovunque ammorbando l’aria, comprendiamo bene cosa sia la mancanza di un ponte tanto importante. E tutti speriamo che si faccia presto, per non uccidere definitivamente la Liguria tutta!

Moltissimi erano i giovani, tra il pubblico, mentre, sul palco, un ragazzo di 20 anni, Bernard Dika,   ribadiva che  l’avversario non è nella piazza, ma fuori.

Infatti, la gente gridava “Unità, Unità”, sperando che i capi la smettano con le correnti, con la denigrazione di altri del proprio stesso partito, con il massacro di tutti i nostri leader.

Perché quando si  uccide un proprio leader, a vincere è sempre la destra e, in questo  caso, addirittura, una destra doppia!

 

Renata Rusca Zargar

http://www.senzafine.info/

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