2008: anno internazionale del pianeta Terra
Il 2008, dichiarato dalle Nazioni Unite “anno del pianeta Terra”, è stato celebrato con lo slogan “Le scienze della Terra per la società”. È grazie alle scienze se oggi siamo in grado di comprendere come interagisce la specie umana con i vari ecosistemi: geosfera, atmosfera, idrosfera e biosfera. Ed è grazie alle scienze se oggi possiamo conoscere la storia passata di queste interazioni e prevederne le prospettive future. Negli ultimi tempi, infatti, con l’uso dei satelliti da telerilevamento sono state acquisite enormi masse di dati sul funzionamento dei suddetti sistemi naturali della Terra. Ciò ha permesso agli scienziati di prevedere gli scenari futuri di sostenibilità del nostro sviluppo socio-economico nei confronti della capacità della geosfera, atmosfera, idrosfera e biosfera di mantenerci nel tempo. Purtroppo le comunità scientifiche internazionali parlano, in modo univoco, del drammatico effetto che la specie umana sta causando al funzionamento degli ecosistemi della Terra. Esse hanno definito il periodo che stiamo attraversando Antropocene, in quanto l’impatto dell’uomo sul pianeta Terra, in un periodo piuttosto limitato di tempo, è stato pari a quello delle grandi forze geologiche, che pure hanno agito nel corso di milioni di anni. L’organizzazione scientifica internazionale IUGS, che raccoglie le società geologiche dei vari Paesi, sostiene che sinora l’uomo ha trasformato fisicamente oltre il 70% delle terre emerse (con l’agricoltura, la deforestazione, la cementificazione ecc..), mentre l’impatto umano sui mari e gli oceani viene valutato superiore al 40%. Inoltre, lo IUGS prende in esame i seguenti dati: ogni anno la popolazione mondiale cresce di 70 milioni di individui (cioè dell’1,2%). Una crescita demografica, questa, che avviene per il 95% circa nei Paesi cosiddetti in via di Sviluppo. Il prodotto interno lordo di beni finiti e servizi cresce, invece, annualmente all’incirca del 5,4% a livello mondiale, aumento questo che si verifica essenzialmente nei Paesi industrializzati. Il moltiplicarsi del numero di esseri umani che reclamano il diritto alla salute, al cibo e all’acqua, ha portato, ad un aumento di nuovi consumatori sul mercato. Un altro effetto non secondario è stato lo spostamento continuo di masse di disperati, dalle zone povere del mondo verso luoghi più prosperi. Il risultato è stato inevitabile: la crescita del PIL ha comportato un aumento dell’uso di combustibili fossili (petrolio e carbone) con il conseguente aumento di produzione di gas, come anidride carbonica, metano e protossido di azoto. Gas, questi, considerati pericolosi per la salute e il benessere di tutto il genere umano. A detta dell’Organizzazione Meteorologica Mondiale (WMO) e del Programma Ambiente delle Nazioni Unite (UNEP), infatti, non possiamo più ignorare che l’aumento di concentrazione di gas serra nell’atmosfera crea enormi problemi di impatto sociale e ambientale. Nel loro “IV Rapporto sul cambiamento climatico” detti organismi internazionali sostengono che il cambiamento climatico è la più evidente manifestazione dei cambiamenti dei vari ecosistemi della Terra. In particolare Jim Hansen, climatologo insigne della NASA, ha sottolineato l’estrema necessità di mantenere la concentrazione del biossido di carbonio, nella composizione chimica dell’atmosfera, sotto le 350 parti per milione di volume (ppm), mentre oggi siamo a 385 ppm, con il rischio di raggiungere in meno di 30 anni le 450 ppm. L’imperativo categorico – dice Hansen – è quello per tutti gli Stati di ridurre le immissioni di gas di almeno il 30% entro il 2020 e di almeno il 70-80% entro il 2050. Ma l’Italia non si adeguerà, in questa fase, alla regola sottoscritta dagli Stati firmatari del “Protocollo di Kyoto” di ridurre del 20% le emissioni di gas serra entro il 2020, perché ciò comporterebbe – a detta del capo di governo Berlusconi – un costo troppo alto per le imprese italiane. Tuttavia, i costi che l’intero pianeta sta pagando per l’inquinamento sono inequivocabili: il riscaldamento medio mondiale, lo scioglimento diffuso di neve e ghiaccio, l’innalzamento medio del livello del mare e le variazioni delle strutture dei venti, con picchi sempre più estremi. Variazioni che creano grossi problemi per le attività umane, specialmente nei Paesi più poveri del mondo, oltre che per molte specie animali! La prestigiosa Accademia delle Scienze degli USA ha lanciato l’allarme che alcuni elementi critici del sistema climatico terrestre potrebbero sorpassare una soglia critica fra 10 come fra 100 anni, con la conseguenza disastrosa che gli ecosistemi sarebbero così qualitativamente alterati che una piccola perturbazione provocherebbe a cascata conseguenze ampie e di lungo termine, le quali andrebbero a riflettersi in modo irreversibile sulla vita dell’uomo. Alla luce di questo studio, appare ancora più giusto il principio, sancito a partire da Kyoto, di sanzionare i Paesi colpevoli di azioni con un impatto ambientale tale da minacciare la sicurezza dell’intera specie umana. E l’Italia oggi potrebbe candidarsi a ricevere una sanzione di questo tipo. La speranza è che il nostro Paese segua l’esempio della Germania, che oggi è all’avanguardia nella produzione di energia solare, pur non essendo baciata dal sole come invece è l’Italia. Il governo italiano, invece, pensa di investire in tecnologie di produzione di energia da fonte nucleare. Ma il fisico Marco Zoli, ricercatore dell’Enea, fa notare nel suo blog che: 1) il nucleare non riduce la domanda di petrolio, perché la Francia, che produce il 78% di energia elettrica da fonte nucleare, consuma quasi 300mila barili di petrolio al giorno in più dell’Italia (fonte: International Energy Annual); 2) per isolare i rifiuti fortemente radioattivi del nucleare occorre scavare ad una profondità di 700-800 metri in siti geologici con caratteristiche di stabilità ed impermeabilità adeguate (e in Italia lo smaltimento dei rifiuti normali appare già molto problematico, figuriamoci lo smaltimento di quelli radioattivi!); 3) il costo di una centrale nucleare è 4 volte superiore al costo di una centrale a gas metano di pari potenza; 4) il tempo di realizzazione degli attuali reattori di terza generazione è molto lungo: circa 14 anni, in un Paese moderno come la Finlandia. La soluzione del nucleare rimarrebbe, dunque, improponibile. Malgrado la complessità del problema, oggi ciascuno di noi può fare molto per ridurre i gas serra. Basta seguire, infatti, le seguenti indicazioni fornite nel quadro degli accordi di Kyoto: a) comprare i “prodotti a chilometro zero”, cioè le merci prodotte il più vicino possibile, perché eviterebbe l’emissione di circa una tonnellata di anidride carbonica l’anno. Basti pensare che i quattro quinti delle merci in Italia viaggiano su gomma, in media, per 1.900 chilometri; b) prediligere i prodotti che riducono all’essenziale gli imballaggi; c) fare la raccolta differenziata dei rifiuti. Occorrerebbe riflettere su un dato allarmante: dal 23 settembre scorso si consuma sul nostro pianeta più di quanto si produce (fonte ONU – Global Footprint Network)!
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