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Nel mese di maggio è stata replicata in Sabina la manifestazione Arte contemporanea in Sabina, ideata da Alberto Tessore e resa possibile dal sostegno della Regione Lazio e della Camera di Commercio di Rieti. Obiettivo del progetto la creazione di un percorso di arte contemporanea che si snodi lungo il fiume Farfa, all’interno di un territorio prevalentemente rurale, coinvolgendo e in qualche modo restituendo visibilità ai borghi di un’area segnata da una forte impronta storica. Poiché questo territorio è strettamente connesso al Lazio vero e proprio, cioè la parte pianeggiante dell’attuale regione (dalla radice indoeuropea *stlt da cui il latino latus “ampio, vasto”, in contrapposizione appunto con la montuosa Sabina) fin dall’antichità, come documenta ampiamente la leggenda del ratto delle Sabine e, iconograficamente, la triade capitolina, nelle cui tre divinità si rappresenta simbolicamente il connubio tra le tre componenti fondanti, latina, etrusca e sabina, della civiltà romana. Alle cui origini non poteva che collocarsi la storia dei romani contadini e guerrieri andati a pescare proprio lì spose tanto prosperose quanto virtuose per popolare la nascente civitas, ottemperando a quel criterio di ‘sanità’ fisica e morale che il severo mos maiorum non poteva non imporre per fondare e mantenere una stirpe di dominatori. Territorio tuttavia rimasto oggi ‘relegato’ ad una maggiore marginalità rispetto a quel processo di sistematica erosione degli spazi rurali, fagocitati dall’avanzare delle metropoli, che ha condotto nello specifico alla formazione di un continuum urbano tra Roma e l’area sud-orientale, secondo le due direttrici litorale e Castelli. Quanto mai opportuna quindi l’attenzione rivolta a questi paesi, la cui cifra sostanzialmente rurale non deve essere pretesto perché siano tenuti fuori da un circuito di intelligente ‘globalizzazione’ culturale, all’interno anche di una più ampia prospettiva europea. Obiettivo la cui realizzazione potrebbe essere favorita appunto dal progetto in questione, che ha visto protagonisti lo scorso anno i giovani dell’Ecole nationale superieure des Beaux-Arts di Parigi, sotto la guida di Giuseppe Perrone, e quest’anno gli artisti del corso di Karin Sander dell’Accademia Weissensee di Berlino, in collaborazione con il Goethe-Institut. La manifestazione, che ha visto coinvolte anche le scuole di ogni ordine, ha avuto la peculiarità di svolgersi sotto gli occhi attenti e con la collaborazione degli abitanti dei luoghi sul cui ‘paesaggio’ gli artisti andavano a incidere con le modalità più diverse, dall’inserimento di coloratissimi tasselli di mattoncini in plastica nelle sbrecciature degli antichi muri, come nel Dispatchwork di Jan Vormann, all’incollaggio di frammenti di rifiuti, volantini, manifesti, appunti sulla facciata di un edificio di fronte al municipio, come in Brief an Toffia di Matthias Wermke. L’idea di istituire un dialogo tra l’oggetto d’arte creato sul luogo e lo spazio che lo circonda è naturalmente più incisiva in un paesaggio come quello italiano, profondamente riflesso nell’arte (basti pensare alla terra toscana di Simone Martini o ai leonardeschi paesaggi di alberi e acque) e, viceversa, da quella modellato. E del resto è intrinseca all’idea di paesaggio l’azione su di esso esercitata dall’uomo, come appare anche linguisticamente evidente in lingue come il tedesco dove Landschaft rimanda appunto all’azione di creare (schaffen) il territorio (Land). Ciò secondo le due strategie della performance, che implica il divenire del pubblico parte attiva del processo creativo, e dell’installazione, che consiste in un intervento in situ, rivolto al luogo. E in un’ottica che concepisce sempre più l’arte come gioco piuttosto che come padronanza di specifiche tecniche rivolte a compiacere un determinato potere politico-economico. In questo senso 20 eventi si muove nella direzione di un’arte sempre più ‘dinamica’, tendente a trasformare il pubblico in forza interattiva piuttosto che fruitore passivo come in passato.