Proiezioni: nuovo percorso espositivo all’Anfiteatro Flavio di Pozzuoli
Apre il nuovo percorso espositivo “Proiezioni” all’Anfiteatro di Pozzuoli
20 maggio – 26 settembre 2021
Proiezioni di statue che lasciano i loro abituali spazi di conservazione
per sporgersi verso la città e ristabilire un contatto con nuovi spettatori.
Proiezioni di gladiatori, immagini antiche e modernissime al tempo
stesso, che ripopolano i loro luoghi e che scandiscono il nostro percorso.
Proiezioni di voci, eco di frasi antiche, che dalle gradinate dell’anfiteatro giungono
nell’intimità dei sotterranei ripristinando un contatto tra spazi e tempi diversi.
Proiezioni di memorie che dall’antico si protendono verso il contemporaneo
Inaugura oggi 20 maggio all’Anfiteatro di Pozzuoli, e sarà visitabile fino al prossimo 26 settembre, il nuovo percorso espositivo “Proiezioni”, organizzato in collaborazione con il Museo archeologico nazionale di Napoli, in stretta connessione con la mostra “Gladiatori”.
Il percorso di visita ha una doppia dimensione: espositiva e multimediale. Le pregevoli sculture che erano parte della decorazione originaria dell’anfiteatro tornano a disvelarsi allo sguardo dei visitatori e della città, nel contesto di un allestimento temporaneo realizzato all’interno delle arcate strutturali dell’edificio. Sarà inoltre visibile al pubblico una delle epigrafi dedicatorie che in antico erano apposte sugli ingressi dell’anfiteatro e che ricordavano come la sua costruzione fosse avvenuta totalmente a spese della colonia romana.
I sotterranei, invece, ospiteranno un percorso fatto di suggestioni visive e sonore. I gladiatori armati diventano una viva presenza attraverso le immagini visualizzate da monitor a tutta altezza, mentre un tappeto sonoro evoca ciò che verosimilmente doveva percepire chi all’epoca si fosse addentrato in quegli spazi ipogei: versi di animali che nelle gabbie attendevano di essere issati nell’arena per i combattimenti, rumore di spade che venivano affilate nelle fasi preparatorie degli scontri, il fragore della folla che era sugli spalti e, infine, il sottofondo musicale che accompagnava con i suoi ritmi cadenzati lo svolgimento dei giochi.
Nell’ambito del percorso saranno esposti anche due plastici dell’Anfiteatro, oggetto di un recente intervento di recupero e sistemazione; il primo raffigura l’effettivo stato di conservazione in cui l’edificio è giunto fino a noi, mentre il secondo propone una ricostruzione dell’aspetto monumentale che l’anfiteatro doveva avere in origine, con i due livelli di arcate esterne e l’attico superiore di coronamento.
Il direttore del Parco archeologico dei Campi Flegrei, Fabio Pagano, dichiara: “Abbiamo voluto offrire questo nuovo percorso espositivo per dare energia alla riapertura dei nostri luoghi e vitalità alla ripartenza delle attività che ruotano intorno ad essi. L’iniziativa è anche una splendida occasione per rinsaldare la nostra collaborazione con il Museo archeologico nazionale di Napoli. L’Anfiteatro Flavio di Pozzuoli, uno dei più evocativi esempi di questa tipologia di edifici, si mette in mostra per contenere e accompagnare virtualmente gli oggetti esposti e le storie raccontate nella bella mostra del MANN.”
Il percorso sarà visitabile negli orari di apertura dell’Anfiteatro di Pozzuoli. Tutte le informazioni su www.pafeg.it o scansionando il seguente QR Code
OPERE IN MOSTRA
Iscrizione dedicatoria dell’anfiteatro
Fine I sec. d.C.
Colonia Flavia Augusta / Puteolana pecunia sua (La Colonia Flavia Augusta / Puteolana a sue spese)
© Luigi Spina
L’iscrizione, incisa su una grande tabella rettangolare apposta sugli ingressi all’edificio, ricordava orgogliosamente che la colonia romana di Pozzuoli aveva costruito “a sue spese” il nuovo anfiteatro. La città era infatti già provvista di un edificio per spettacoli, il cd. anfiteatro minore, risalente ad età repubblicana, ma ormai insufficiente per le esigenze di un centro vivace e in forte crescita come Pozzuoli; di qui, la costruzione di un secondo anfiteatro, più grande e, soprattutto, provvisto di sotterranei che potessero ospitare le gabbie per le fiere e le macchine sceniche.
Statua togata dell’imperatore Traiano
II sec. d.C.
© Luigi Spina
La scultura raffigura l’imperatore Traiano vestito di una toga riccamente panneggiata. Il tipo di acconciatura e il trattamento asciutto e incisivo dei lineamenti del volto rimandano al ritratto che di questo imperatore fu realizzato in occasione del decimo anniversario della sua ascesa al potere. La pregiata scultura è una delle poche testimonianze superstiti dell’arredo statuario dell’anfiteatro; così come le altre sculture esposte, essa fu rinvenuta adagiata al suolo in una delle arcate inferiori del monumento, pronta per essere ridotta in calce in un’attigua fornace, sorte cui fu fortunatamente sottratta per qualche evento imprevisto a noi ignoto.
Statua panneggiata di Ulpia Marciana
II sec. d.C.
© Luigi Spina
La statua raffigura Ulpia Marciana, amata sorella maggiore dell’imperatore Traiano, elevata al rango imperiale dal fratello nel 105 d.C. con il titolo di Augusta. Accolto con ritrosia questo onore, Ulpia Marciana entrò a far parte dell’iconografia ufficiale imperiale e il suo ritratto cominciò ad essere associato a quello di Traiano e della moglie su effigi e monumenti. Anche nell’anfiteatro puteolano la scultura che la ritrae doveva figurare al fianco di quella del fratello, ad ornamento delle arcate esterne o del loggiato superiore. Secondo la moda in voga in età traianea, l’Augusta reca un’alta acconciatura con una doppia fila di riccioli sistemati sul capo in forma di diadema.
Statua acefala loricata
II sec. d.C.
La scultura, priva della testa, raffigura un personaggio maschile abbigliato con una corazza (lorica) finemente decorata. Una testa di gorgone alata con due serpenti annodati al di sotto del mento figura all’altezza del petto; sotto di essa, due grifoni con testa d’aquila, raffigurati l’uno di fronte all’altro, sono parzialmente coperti dalla cintura (cingulum) stretta alla vita. Una fila di placche semicircolari (pteryges), ornate con motivi vari (elementi floreali, protomi umane e animali), delimita la corazza, al di sopra di un gonnellino in frange di cuoio. Date anche le dimensioni maggiori del vero, la raffinata scultura doveva ritrarre un imperatore, di cui non è purtroppo nota l’identità.
Statua femminile panneggiata acefala
II sec. d.C.
La statua raffigura un personaggio femminile vestito con una tunica e un voluminoso mantello dalle pieghe plasticamente modellate (himation). In base al ritmo della figura, la scultura è stata interpretata come un’immagine della dea Fortuna (Tyche), originariamente provvista di una cornucopia appoggiata alla spalla sinistra. Il fatto che la testa fosse lavorata a parte suggerisce, però, che potrebbe trattarsi del ritratto di una componente della famiglia imperiale, rappresentata in sembianze divine.
Statua di satiro in riposo
II sec. d.C.
Il giovane satiro è raffigurato appoggiato ad un tronco di albero. Una pelle di pantera (nebride) è allacciata alla spalla sinistra e avvolge solo parte del busto, lasciando scoperte le forme ancora acerbe del corpo, leggermente ruotato verso sinistra. Il soggetto riprende lo schema del celebre satiro anapauomenos (in riposo) di Prassitele, invertendo però il ritmo compositivo della figura. In virtù delle sue dimensioni, si può ipotizzare che questa raffigurazione del demone dei boschi, compagno di Pan e Dioniso, potesse abbellire la sede di una delle associazioni professionali o religiose attestate presso l’anfiteatro.
I GLADIATORI
armamenti, classi gladiatorie e tecniche di combattimento
I combattimenti tra gladiatori nacquero come parte dei riti funebri che venivano organizzati a fini celebrativi in onore di personaggi illustri; il termine munus (=dono/dovere) con cui i giochi gladiatori erano designati nel mondo romano rimanderebbe proprio a questo loro carattere originario. Con il tempo, però, essi persero la valenza funeraria e la dimensione privata, trasformandosi progressivamente in una delle forme di intrattenimento pubblico più amate dai romani.
Ma chi erano i protagonisti di questo genere di spettacolo così popolare ma anche così violento? I gladiatori erano per lo più schiavi e prigionieri di guerra, provenienti anche da regioni dell’Impero molto lontane; ad essi si affiancavano i criminali obbligati a scontare la propria pena come gladiatori. Diversa era invece la sorte che attendeva coloro che erano condannati a morte ad gladium, per i quali, diversamente dagli altri, non era contemplata la possibilità di uscire vivi dall’arena.
Il fascino esercitato dalla gladiatura fu tale, però, che anche liberti, cioè schiavi affrancati, e uomini di condizione libera, talora appartenenti addirittura a famiglie di alto rango, scelsero volontariamente di combattere nell’arena, alla ricerca di gloria e successo o richiamati dai premi in denaro riservati ai vincitori. In realtà, la reputazione di cui godevano i gladiatori nella società civile contemporanea era contraddittoria; da una parte, essi erano celebrati e acclamati come eroi per il coraggio e la forza che mostravano nell’affrontare gli avversari e la morte. Dall’altra, sui gladiatori pesava il marchio di infamia che nel mondo romano colpiva chiunque traesse guadagno dall’esibirsi in pubblico; a ciò si aggiungeva un sentimento di orrore misto a paura per le morti cruente e brutali di cui si macchiavano.
I gladiatori vivevano una condizione difficile ma non del tutto negativa; essi erano proprietà di un impresario professionista, chiamato lanista, che affittava i propri combattenti agli organizzatori dei giochi. I gladiatori appartenenti ad
una medesima compagnia (familia gladiatoria) vivevano tutti insieme all’interno di una scuola (ludus), dove essi erano sottoposti ad un duro allenamento quotidiano e ad uno stile di vita molto rigoroso, che prevedeva controlli medici costanti ed un’alimentazione specifica per potenziare la muscolatura. Reclutati intorno ai 17-18 anni, i gladiatori difficilmente superavano i 30 anni di età e nell’arco della loro esistenza, in media, non combattevano più di una ventina di volte. Casi eccezionali e degni di nota furono quello del gladiatore Massimo, che a Roma nel periodo giulio-claudio collezionò 36 vittorie, o quello di Fiamma morto a Palermo a 30 anni dopo 34 combattimenti (pugnae). Alcuni gladiatori, dopo un certo numero di vittorie, riuscivano ad ottenere la libertà, rappresentata simbolicamente dalla consegna di una spada di legno (il rudus); ma, una volta congedati, tendenzialmente essi rimanevano nella caserma come istruttori o svolgevano la funzione di arbitri durante i giochi nell’arena. Nonostante la vita comunitaria condotta nel ludus, ai gladiatori non era preclusa l’opportunità di avere degli affetti personali; dalle iscrizioni funerarie loro dedicate sappiamo che spesso avevano una moglie o una compagna e, più raramente, anche dei figli.
I gladiatori erano divisi in varie categorie in base alla tipologia di armamento indossato e alle tecniche di combattimento; gli scontri nell’arena prevedevano che rappresentanti di classi diverse si affrontassero a coppie, secondo abbinamenti prestabiliti. Le classi gladiatorie più antiche, in voga in età repubblicana, avevano in sé una matrice “etnica” e nascevano dall’esperienze militari condotte dai Romani; esse riproducevano, infatti, l’armamento di quei popoli quali Sanniti, Traci e Galli, che per antonomasia erano stati fieri nemici di Roma. Poche sono purtroppo le testimonianze iconografiche relative a questi primi gladiatori e ai loro equipaggiamenti; combattendo tra loro essi offrivano agli spettatori una rappresentazione che era anche una celebrazione della supremazia di Roma sugli altri popoli. Il trace
fu l’unica tipologia su base etnica a sopravvivere alla riorganizzazione che delle classi gladiatorie fu fatta in età augustea, allorquando furono introdotte
nuove armaturae e creati nuovi abbinamenti, al fine di rendere più spettacolari e avvincenti gli scontri.
Non è sempre facile definire e identificare con certezza, sulla base dei dati offerti dalle fonti, quale fosse l’armamento distintivo di ciascuna delle nuove classi gladiatorie. Inconfondibile appare l’armatura del trace; questa categoria di gladiatore indossava, infatti, un particolare elmo provvisto di alto cimiero e decorato con una protome di grifo; le sue armi erano rappresentate da un piccolo scudo di forma quasi quadrata (parmula) e da una corta spada ricurva o piegata ad angolo, la sica, anch’essa molto caratteristica. Il braccio destro era protetto da una imbottitura chiamata manica, mentre le gambe erano coperte da alti schinieri (cnemides), talora riccamente decorati. Al pari degli altri gladiatori, il Trace combatteva a torso nudo, vestito di un corto perizoma (subligalicum) tenuto alla vita da una cintura (balteus). Tradizionalmente il gladiatore Trace lottava contro l’oplomaco. A lungo dibattuta è stata l’identificazione di questa tipologia di gladiatore, la cui armatura risulta simile a quella del Trace ma con alcune significative differenze. L’elmo imponente, ornato di piume e con orlo ribattuto, è privo della protome di grifo; l’arma offensiva è una spada dritta, talora associata ad una lancia; lo scudo è piccolo e rotondo. Anche l’Oplomaco portava alti gambali e, così come il Trace, poteva avere delle fasciature orizzontali a protezione della parte alta delle cosce. Sia al Trace che all’oplomaco poteva essere occasionalmente contrapposto come avversario il mirmillone. L’armatura di questo gladiatore prevedeva un elmo a visiera con cresta angolare ornata di piume o crini di cavallo, la manica al braccio destro, un gambale di protezione alla gamba sinistra (ocrea), un alto scudo rettangolare (scutum) di legno con rivestimento di cuoio e, come arma offensiva, una spada dritta medio corta (il gladius). Il mirmillone deriverebbe il suo nome da un pesce marino, la murma, di cui portava effigiata sull’elmo l’immagine. Secondo alcuni, inizialmente, questo tipo di gladiatore era stato opposto al reziario, salvo poi rivelarsi l’abbinamento poco riuscito, in quanto l’armatura pesante e piena di appigli del mirmillone mal si prestava allo scontro con l’agile Reziario, che aveva nella rete da pesca la sua principale arma di offesa. Il reziario è senza dubbio la figura più originale tra le nuove classi gladiatorie di età imperiale. Munito di rete, tridente e un pugnale per il corpo a corpo, richiamava alla mente l’immagine di un pescatore, alle cui tecniche si ispirava forse nel combattimento. Al fine di poter manovrare agevolmente la rete, egli portava il parabraccio a sinistra anziché a destra. Era inoltre privo di armi difensive, fatta eccezione per il galerus, una placca metallica fissata alla spalla sinistra, funzionale a proteggere la gola e la testa dai colpi del secutor, che divenne il suo naturale avversario. L’equipaggiamento del secutor ricalcava quello del mirmillone con una differenza sostanziale rappresentata dalla forma quasi aerodinamica dell’elmo: piccolo, ovoidale, privo di sporgenze e provvisto solo di due fori per gli occhi, questo modello di elmo fu concepito proprio per non dare appigli alla rete del retiarius. La coppia secutor-retiarius rappresentò un abbinamento particolarmente riuscito e apprezzato, come si evince anche dalle numerose raffigurazioni artistiche che ritraggono i due gladiatori nei diversi momenti della lotta. Poche sono invece le notizie sulla categoria del provocator, che rappresenta forse un’evoluzione di classi gladiatorie più antiche. Egli indossava un elmo provvisto di visiera ma privo di cresta, una protezione a metà della gamba sinistra, la manica al braccio destro e uno scudo rettangolare ricurvo; inoltre, elemento alquanto peculiare, questo gladiatore era dotato di una sorta di corazza per proteggere il petto. Analogamente a quanto accadeva con le classi più antiche, il Provocator generalmente si batteva con i propri pari. I giochi gladiatori erano animati dalla presenza anche di ulteriori tipologie di gladiatori a noi meno note come, ad esempio, gli equites, che dopo un primo scontro a cavallo duellavano corpo a corpo con le spade; l’essediarius combatteva invece dall’alto di un carro, mentre il dimacherus era forse armato di due pugnali.
Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, la gladiatura non era appannaggio esclusivo degli uomini; le fonti antiche raccontano anche di donne gladiatrici che combattevano valorosamente nell’arena o partecipavano alle cacce con le fiere.
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