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1956 – L’anno del freddo e dell’addio 2/2

1956 – L’anno del freddo e dell’addio 2/2
Settembre 08
16:08 2012

Frascati - Istituto Nazario Sauro(tratto da ‘Campo di grano’ Anni Nuovi 2003) E conosco la neve. Per conoscere la neve bisogna affondarci i piedi, mangiarla, berla, sentirsela arrivare dentro il collo. Per conoscere la neve bisogna rotolarsi nel suo biancore, strofinare la faccia nel suo freddo, stringerla fra le mani fino a sentirsele arroventate.
Quando prendiamo il treno alla stazione di Ciampino il cielo è scuro e immobile, i rumori ovattati. Man mano che il treno sale il paesaggio s’imbianca e illumina, quando arriviamo a Frascati mi pare di sognare:

un manto di neve, soffice intoccata brillante riveste accuratamente ogni cosa. È una città nuova, tutta da visitare.
Non entriamo a scuola, le lezioni sono sospese, mancano insegnati e studenti, i mezzi non transitano, i paesi vicini sono tutti bloccati. In mattinata non ci sono treni per rientrare, e questa è la nostra bella scusa per prenderci un giorno di vacanza speciale, giustificata. Saliamo sulla via del Tuscolo, Rita ed io, e sembra che quel monte sia solo nostro. Arrivate alla sommità, nei pressi della croce dove sempre sostiamo, restiamo stupefatte a guardare tutto ciò che ci circonda, roba da piangere. Lassù tira un vento freddo che taglia la faccia, cerchiamo rifugio in una piccola caverna e ci viene un gran sonno, per fortuna la fame ci tiene sveglie. Poi di nuovo fuori, a saltare come caprioli fra gli alberi che sembrano di cristallo.
La neve quest’anno ricopre anche Ciampino. Solo in alcuni inverni un velo di neve era sceso sfarinandosi prima di arrivare a terra, ed è la prima volta che vedo il campanile e i tetti imbiancati, la neve ammucchiata ai bordi delle strade. È troppo freddo, quest’anno. Quando torno a casa, sempre di malavoglia, trovo tutto spalancato e lenzuola sempre stese. Il pranzo in caldo sulla stufa è la solita minestra, mamma sempre con le maniche rimboccate a lavare in fontana la biancheria di papà, papà steso a letto sempre più sciupato, sempre più grigio, papà malato di tumore mi chiama appena arrivo ed io non vorrei entrare nella stanza che odora di alcool, borotalco e dolore, ma entro e siedo e gli faccio compagnia, e lui prende la mia mano fredda e se la posa sulla fronte che scotta, e mi dice che sono il suo angelo custode. Questo inverno è troppo lungo, non finisce mai, forse la primavera non torna più. “Devi andare a prendere lo stipendio di tuo padre, sennò i tuoi fratelli perdono la giornata di lavoro”, mi dice un giorno mia madre. La bicicletta viola è piccola, ormai, me la regalò mio padre quando avevo dieci anni, ma è robusta e mi porta sull’Appia, fino a Capannelle, fino agli uffici dell’impresa Cruciani dove mio padre lavora come capo minatore. La busta è pronta con il nome di papà scritto sopra, mi chiedono come sta ed io rispondo che sta meglio ma non è vero; mi dicono che di qualsiasi cosa la famiglia possa avere bisogno loro faranno il possibile, sì grazie; mi dicono tuo padre è un uomo onesto, un lavoratore coi fiocchi, gli possiamo affidare pure tutta la cava di pietra, sì grazie; mi dicono ma quanti anni hai, sei piccola per fare queste strade pericolose, il prossimo mese se tuo padre non si rimette la busta ve la portiamo a casa noi. Sì, grazie. Ho la disperazione dentro, sento che il prossimo mese non porterà niente di buono. Primavera con la neve, Pasqua con la neve. Mamma mette la tovaglia buona come tutti gli anni, apparecchia per la colazione pasquale; le tazze di porcellana per il cioccolato, la frittata con la salsiccia e i carciofi, il cestino con le uova sode, il Pan di Spagna, il vin santo. Ma è la colazione più triste che si possa immaginare, il posto vuoto di papà, il suo lamento che viene dall’altra stanza ci mettono un groppo in gola che non ci fa ingoiare. La tavola resta quasi intatta, mamma singhiozza con la faccia nel tovagliolo.
Il vento freddo di maggio si porta via papà. Non ha fatto in tempo a farci vedere tutte le chiese più belle di Roma, a farci visitare la città più bella del mondo, come ci aveva promesso a Natale. Il vento freddo di maggio si porta via anche la mia adolescenza. Mi vesto a lutto, lo porterò per un anno.

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