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1953, Scuola di Avviamento Professionale ‘Nazario Sauro’ – 1

1953, Scuola di Avviamento Professionale ‘Nazario Sauro’ – 1
Agosto 16
12:59 2012

Scuola-Frascati-stazione-fs(tratto da ‘Campo di grano’, Anni Nuovi 2003) Finite le elementari vado a scuola a Frascati, all’Istituto di Avviamento Professionale ‘Nazario Sauro’. A Ciampino, dove vivo, c’è solo una scuola media privata, e per proseguire gli studi tanti di noi devono prendere il treno, potendo scegliere fra Roma o qualche comune dei Castelli. Il primo giorno mi accompagna mia madre, elegante nel suo vestito nero con i fiori azzurri, le calze con la riga e le scarpe col tacco. Il treno sale, passa sotto la galleria – qui durante la guerra era nascosto il cannonissimo, mi spiega mamma, che da Ciampino sparava fino ad Anzio – si ferma a Valle Violata, si arrampica fra i vigneti, i frutteti e le scarpate e subito si arriva al capolinea.

La stazione con la fontanella, gli archi, i finestroni e fuori il grande piazzale, le scalinate che portano alla passeggiata, la piazza con la fontana e sullo sfondo Villa Aldobrandini che sembra l’illustrazione di un libro di favole. Vie e viuzze nel profumo di pane appena sfornato, nella vetrina dei dolciumi le pupazze con tre sise, il Bar degli Specchi, piazza San Pietro con la cattedrale di pietra scura, la galleria ed ecco la mia scuola, un palazzo antico, chiaro e maestoso. È un altro primo giorno di scuola. Non piango, quando vedo mamma allontanarsi, dopo che in segreteria ha depositato la sua firma. Riprenderò il treno e da sola tornerò a casa, mi sento molto responsabile.
E arriva l’odore dei giorni più belli della mia vita, l’odore delle scarpe da ginnastica, del cornetto alla crema, del foglio protocollo, delle mura della mia scuola, del legno dei banchi macchiati d’inchiostro e incisi col temperino; odore dei miei undici anni appena compiuti, anche gli anni hanno il loro odore. Odore dello sferragliare del treno, dei sedili, della ritirata, odore di ottobre, della borsa di cuoio che mi ha regalato mio fratello Augusto, odore di libertà, uguale a quello dei prati. È come se avessi varcato una soglia e fossi oltre le mura, ho voglia di correre e di saltare ostacoli, ho voglia di sfida. I professori dicono che ho una buona preparazione (merito dell’insegnamento delle suore claretiane alle elementari), don Giovanni mi scrive spesso una nota d’elogio sul diario che mio padre firma compiaciuto, mi piacciono le materie nuove, ho voglia di sapere, tanta curiosità. Il programma è basato sulle materie tecniche, computisteria stenografia dattilografia merceologia, poche davvero le ore di letteratura, le più belle. Ma è la cittadina che più mi affascina, e partiamo alla sua scoperta con la mia amica Rita. Vicoli e piazzette, palazzi signorili e osterie, punti panoramici e fontane, Villa Torlonia immersa nel verde incolto. Esploriamo i dintorni, osserviamo dalle feritoie della recinzione Villa Aldobrandini, proseguiamo sulla via del Tuscolo e conosco i fiori di bosco, tappeti colorati e festosi, rampicanti che avvolgono i tronchi, chiazze di luce e di ciclamini. E ci arrampichiamo sul viottolo irto e tortuoso, ogni volta ci spingiamo più avanti e un giorno arriviamo a vedere la croce di ferro e sotto il vuoto, lo spazio, l’orizzonte aperto e il silenzio rotto solo dal canto degli uccelli.
Il mondo apre le sue finestre, basta affacciarsi. Laggiù, dove scendono e si alzano gli aerei c’è Ciampino, da qui appare lontano e lo sento lontano, che strana cosa la distanza, non è fatta di tempo e di spazio, di che cosa è fatta la distanza? Nel ridiscendere mettiamo un fiore alla Madonnina tutta bianca in mezzo al verde, non mi sembra di leggere rimprovero nei suoi occhi, anche se non dovrei trovarmi quassù; guai se mamma sapesse che mi allontano tanto, ma dalla fine delle lezioni alla partenza del treno passano a volte alcune ore e noi ne approfittiamo per scoprire questi posti incantevoli. Parliamo di tante cose con Rita, ci facciamo domande e ci diamo risposte senza sapere se sono quelle giuste. Rita ha paura d’ingrassare e non fa mai colazione, io sono magra e ho sempre fame. Mamma mi dà ogni giorno venti lire per comprare la merenda, ma serve sempre qualcosa in cartoleria e sono più le volte che resto digiuna, sognando il maritozzo con la crema di Rosina, nella botteguccia dietro la chiesa del Gesù. Ma sogno anche un ragazzino che a scuola sta all’ultimo banco, e ogni volta che mi giro lo scopro a guardarmi. Si chiama Renzo, ha il ciuffo nero e gli occhi scuri e non mi rivolge mai la parola. (continua)

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