1944: Il prezzo pagato in Ciociaria e nelle terre lepine per la Liberazione
Sul finire del mese di ottobre 1947 alcune persone di nazionalità tedesca, a bordo di una Volkswagen, giunsero nella zona orientale dei Monti Lepini per cercare il luogo di sepoltura dei soldati tedeschi. I paesani indirizzarono i forestieri al cimitero di Santa Severa, dove furono accompagnati dal guardiano davanti a cinque tombe ben curate, con fiori freschi e lumini accesi. “Le donne di Supino – disse il guardiano ai tedeschi – non fanno mai mancare i fiori ed i lumicini a queste tombe”. Il gruppetto era partito da Monaco di Baviera e da Stoccarda con l’intenzione di traslare le salme di quei ragazzi, ma dopo aver saputo come erano morti cambiarono idea. Ascoltando il racconto del guardiano del cimitero si commossero e capirono che i loro cari erano stati adottati nella memoria storica ed affettiva dei Supinesi, in quanto morti per salvare qualcuno di loro, e non invece in combattimento come avevano creduto fino a quel momento. Guardando quelle tombe, sotto le croci e gli elmetti, compresero che esse costituivano per gli abitanti della zona il bello di una memoria storica drammatica: lì erano stati sepolti i resti di gentiluomini germanici da onorare! Gentiluomini che si erano sacrificati in un caldo pomeriggio di fine maggio 1944. Lo scenario dei fatti è la zona tra Patrica e Supino, paesi appena distrutti dopo la furibonda battaglia, tra i soldati tedeschi e le truppe coloniali nordafricane del Corpo di spedizione francese, verificatasi nei giorni tra il 22 maggio e il 30 maggio. Dalla linea di difesa tedesca Gustav (che aveva come epicentro la montagna di Montecassino) i soldati germanici erano costretti a ritirarsi, dopo aver subito la superiorità aggressiva e selvaggia delle truppe di colore agli ordini del generale Pierre Juin. La zona pedemontana dei Monti Lepini orientali veniva, così, invasa dalle orde marocchine ed algerine che si diedero ad una serie di atti vandalici, con furti, omicidi e violenze carnali di massa. Questi atti costituivano il compenso loro offerto per combattere una guerra che li coinvolgeva solo come mercenari. Chiamati goumiers, perché organizzati in goums (gruppi) di una settantina di elementi appartenenti alla stessa tribù, questi 12.000 uomini erano stati addestrati nelle colonie e tenuti per mesi segregati in accampamenti recintati con filo spinato per inferocirli. L’odio francese per i tedeschi era senza limiti, come pure il desiderio di vendetta contro gli italiani, per cui con la promessa dell’indipendenza della loro patria le truppe di colore ebbero carta bianca dal governo francese in esilio a Londra e dal generale De Gaulle. Al loro comportamento scellerato non mancò nemmeno l’avallo del generale Alexander, comandante in capo delle forze anglo-americane in Italia. Dunque nel pomeriggio del 31 maggio 1944 alcune donne, seguite dai loro uomini, andarono incontro alle truppe alleate gridando festose “Ecco i liberatori, la guerra è finita, evviva!”. Con sorpresa si trovarono di fronte un goum di marocchini che le abbracciarono con bramosia, mentre i loro uomini venivano tenuti a bada sotto il tiro delle armi. Le donne spaventate cercarono di sottrarsi a quella brutale carnalità, quando all’improvviso videro scendere dall’alto di un’altura, con le mani alzate in segno di resa, cinque giovanissimi tedeschi. Quei ragazzoni teutonici, da poco arrivati al fronte ed inesperti, erano convinti che i nordafricani stessero molestando le donne per farli arrendere. Avrebbero potuto continuare a ritirarsi o sparare dalla loro postazione contro il battaglione marocchino, invece decisero di evitare lo scontro e di arrendersi per evitare supplizi a quella povera gente. Ma quel comportamento cavalleresco fu del tutto inutile, perché i marocchini prima spararono su di loro senza esitazione, poi violentarono selvaggiamente le donne. Questo fatto è tratto dal libro di Franco Caporossi “Ormai si può dimenticare?” che riporta in dettaglio i fatti che funestarono la terra di Ciociaria e la terra lepina dall’8 settembre 1943 fino alla liberazione dall’occupazione nazista (cfr. “Documenti di Cultura Lepina” n. 74, edito dall’Associazione Artisti Lepini). Egli scrive che le prove del massacro della onorabilità delle donne di quelle terre sono state chiuse nell’armadio della vergogna, come prezzo da pagare per la liberazione dall’occupazione nazista. Per le migliaia di donne violentate dagli uomini del contingente francese di liberazione non c’è stato alcun risarcimento, né pensione d’invalidità per le loro ferite morali, psichiche e fisiche. A quelle donne si è chiesto soltanto di tacere!
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