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IL CIGNO NERO E’ ARRIVATO

Marzo 09
10:09 2020

Il Cigno Nero è arrivato. Siamo tutti sorpresi, ma nel mondo della scienza è da tempo oggetto di considerazioni e trattazioni scientifiche molto accurate. La “teoria del cigno nero” si riferisce unicamente a eventi inaspettati di grande portata e grandi conseguenze, e al loro ruolo dominante nella storia. Tali eventi, considerati estremamente divergenti rispetto alla norma, giocano collettivamente un ruolo molto più importante della massa degli eventi ordinari.

In un mondo globalizzato e con la cacofonia dei social network, per un approccio scientifico partiamo dai dati pubblicati dal Ministero della Salute. In Italia, dall’inizio dell’epidemia Coronavirus, alla data del 8 Marzo 7.375 persone avevano contratto il virus SARS-CoV-2. Di queste, 366 erano decedute e 622 erano guarite. I pazienti ricoverati con sintomi erano 3.557, di questi 650 erano in terapia intensiva, mentre 2.180 erano in isolamento domiciliare fiduciario, per un totale di 6.387 positivi. Da questi dati si deduce che alla data del 8 Marzo il tasso di letalità (morti/contagiati) era poco meno del 5%, il tasso di guarigione era circa 8,4%, mentre una percentuale di circa 8,8% necessitava di ricovero in terapia intensiva (650). Leggendo i dati diramati giornalmente dal Ministero della Salute ognuno può fare le proprie valutazioni aggiornate.

Tutti ci chiediamo: come si evolverà il fenomeno? E’ bene chiederlo a virologi, fisici e i matematici, invece che i giornalisti e i parolai. In questo senso sono particolarmente istruttivi grafici come quello elaborato dagli scienziati Giorgio Parisi (fisico e Presidente dell’Accademia Nazionale delle Scienze), Enrico Bucci (biologo) ed Enzo Marinari (fisico). Il grafico applica il modello esponenziale e quindi realizza una stima applicando i tassi di incremento finora registrati. È chiaro che ogni nuovo aggiornamento dei dati comporterà una modifica delle previsioni del modello. Lo studio iniziale si titolava “Considerazioni sull’evoluzione in corso dell’epidemia da nuovo coronavirus SARS-CoV-2 in Italia”. I risultati, calcolati sulla base della rilevazione dei pazienti positivi tra il 25 Febbraio e il primo Marzo, pubblicata sul sito della Protezione Civile, presentavano “un chiaro andamento esponenziale che, in assenza di interventi radicali e tempestivi, avrebbe potuto far superare i 14.000 positivi entro domenica 8 marzo”. Per fortuna gli interventi radicali e tempestivi ci sono stati, almeno in alcune aree geografiche, e ci siamo fermati ad un totale di 7.375 alla stessa data. Se vediamo la crescita dei primi giorni, in effetti appariva esponenziale. Fortunatamente e, grazie agli interventi radicali messi in atto in alcune aree geografiche, dal primo Marzo la curva di crescita ha iniziato a separarsi significativamente da un profilo esponenziale, per seguire l’andamento di una logistica con l’obiettivo di un di plateau ideale. Purtroppo la situazione è di nuovo precipitata nei giorni 7 e 8 Marzo, e la curva tendenziale ha ripreso un andamento esponenziale. Giorgio Parisi, ha rivisto le previsioni e in una dichiarazione ripresa dall’Huffingtonpost nel pomeriggio dell’8 Marzo ha detto” A questo ritmo, senza un rallentamento, in meno di cinque settimane tutti gli italiani sarebbero positivi al Covid-19. Senza misure “cinesi” anti-contagio l’andamento di decessi in Italia sarà peggiore che in Cina”. Ma la rappresentazione cambia di giorno in giorno in funzione dell’evolversi del fenomeno. Non si possono fare previsioni precise. Molto dipende dal comportamento dei singoli.

Quello che veramente ci interessa in queste circostanze è nella domanda “quanti gradi di separazione ci sono fra me e un contagiato?” Questo genere di considerazioni riguarda un modello matematico-statistico molto interessante, chiamato “small world” (mondo piccolo). Il modello ci dice che il “diametro” della popolazione mondiale sia solo 6, cioè che fra due persone qualunque sulla Terra ci siano al massimo sei gradi di separazione.  È un modello molto d’attualità, perché si sta rendendo tristemente realistico come modello di diffusione di epidemie. Il modello “small world” riguarda reti costituite da agglomerati densi con rari collegamenti fra gli agglomerati stessi: i primi a studiarlo dal punto di vista matematico sono stati Duncan Watts e Steven Strogatz, con importanti contributi di Albert-László Barabási, alla fine del secolo scorso. In Italia, un centro di eccellenza è l’Istituto dei Sistemi Complessi del Consiglio Nazionale delle Ricerche.

Va sottolineato che il compito della fisica e della matematica non è quello di definire e imporre le norme di contenimento, che è della politica. Nè di suggerire come curarsi e come proteggersi, che è compito di medici e virologi, svolto finora egregiamente. Bensì soltanto di fornire modelli previsionali.

La virologa Ilaria Capua, in una delle recenti interviste ha sottolineato che “La nostra salute dipende per il 20% dalla predisposizione genetica e all’80% dai fattori ambientali. La cura deve studiare, oltre all’organismo in questione, anche il contesto. Sono due aspetti che, ormai, vanno considerati nello stesso quadro. La salute delle persone dipende da come si vive e dove si vive, senza dimenticare che tutto è collegato”. La vera emergenza, insomma, non è l’epidemia, ma il nostro stile di vita. Se non faremo qualcosa per cambiarlo il futuro potrebbe presentarci malattie peggiori. Il sistema in cui siamo, dove l’interdipendenza e la connessione continua forniscono miriadi di opportunità per la diffusione di varie patologie, fa sì che si diffondano geograficamente a una velocità mai verificatasi prima nella storia. Tra le cause di diffusione l’Organizzazione Mondiale della Sanità cita proprio il traffico aereo, che con oltre 2 miliardi di passeggeri permette di spargere un’epidemia in qualsiasi punto del mondo in poche ore.

«Questa epidemia ha messo in luce come – cosa che sapevamo già – in questo mondo siamo tutti interconnessi», spiega Ilaria Capua. Un fatto che impone «di rivedere fin dalla base il nostro concetto di sano e di malato, e anche il nostro modo di affrontare la cura». Le megalopoli hanno amplificato l’area del contagio. La globalizzazione l’ha estesa a tutto il pianeta – come pensiamo che sia arrivato il virus in Europa? Con l’aereo – e l’effetto domino che abbiamo sotto gli occhi, a livello sociale e soprattutto economico, è immenso. Nel tentativo di arginare il contagio oggi siamo costretti a mettere in discussione i pilastri della nostra società globalizzata, limitando gli spostamenti delle persone e trovando alternative all’interdipendenza nella catena di approvvigionamento delle merci su cui si basa l’intero modello economico, diventato a sua volta un fattore di vulnerabilità, come mostra l’arresto di intere produzioni industriali per la mancanza di componenti prodotte nelle regioni più colpite dall’epidemia.

L’attuale diffusione del Covid-19 a livello mondiale suggerisce diverse delicate considerazioni, visto che imporrà modifiche a livello economico e sociale non di poco conto. Ma le conseguenze saranno anche di più lungo periodo, modificando le stesse modalità di lavoro e di studio e con una rivisitazione del modello economico globalizzato. Siamo infatti di fronte al più ampio esperimento di telelavoro e teledidattica mai fatto, ed è possibile che questa modalità imponga una riflessione, passata la crisi. Sono 180 milioni gli studenti cinesi che non possono tornare a scuola e in molti casi sono passati ad un insegnamento online con 600.000 insegnanti impegnati nei corsi. Anche in Italia, l’emergenza ha abbattuto in una settimana tutte le resistenze all’innovazione. Finora c’era una spinta retorica ad adottare le cosiddette nuove tecnologie a scuola. Generalmente tutto si risolveva con un laboratorio in più, magari con tablet a disposizione degli studenti. Strumenti di fatto sottoutilizzati nella pratica quotidiana. Ora, ovunque, si sta ragionando sul come applicare la teledidattica alle lezioni quotidiane. Non tra un anno, ma domani. Molti Istituti hanno già iniziato; gli altri seguiranno. È un vero esperimento sociale di massa di un nuovo modo di fare scuola.

E sono molte le imprese che in Cina e all’estero stanno ricorrendo al telelavoro. Nello stupore generale si è affacciato il “lavoro agile”, ha fatto capolino lo “smart working”. Un sistema che dovrebbe e potrebbe rappresentare la normalità è stato spacciato addirittura come soluzione rivoluzionaria. Nell’era della tecnologia e del digitale 4.0 mai si è discusso così tanto di telelavoro e smart working nella consapevolezza che con l’evolversi dell’informatizzazione avrebbero potuto consentire organizzazioni del lavoro più flessibili in termini sia spaziali che temporali con indubbio beneficio sia per la produttività che per le persone. Vocaboli fino a qualche giorno sconosciuti alla maggioranza della popolazione sono diventati improvvisamente di uso comune: smart working (telelavoro) ed e-learning (teledidattica o insegnamento a distanza), solo per citarne due. Come naturale conseguenza abbiamo preso coscienza dell’importanza di disporre di Infrastrutture e Piattaforme Digitali che permettano queste attività, insieme a personale preparato e qualificato allo scopo.

Tutto questo costituisce una novità? Sicuramente no! E’ da anni che gli esperti parlano dell’importanza del Digitale. Abbiamo anche un Ministero, il Ministero per l’Innovazione Tecnologica e la Digitalizzazione (MID), con una Ministra giovane e intelligente, Paola Pisano, che ha prodotto un ottimo Documento “Strategia per l’Innovazione tecnologica e la Digitalizzazione del Paese“. Purtroppo se ne parla molto poco, salvo poi chiedere aiuto alla Scienza e alla Digitalizzazione quando arriva il Cigno Nero.

Auguri al nostro Paese affinché sappia rialzarsi, auguri al mondo intero affinché questo momento drammatico diventi occasione di riflessione sui valori della vita, del rispetto reciproco, dell’attenzione all’altro, di come investire le poche risorse disponibili.

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