10 febbraio 1947 – Trattato di Pace tra Italia e Alleati
Il 10 febbraio 1947 si firmò a Parigi il Trattato di Pace tra Alleati e Italia. Tale trattato, noto come “Diktat”, sanciva la sconfitta dell’Italia. Il prezzo, a parte la cessione di Briga e Tenda, venne pagato dalle popolazioni italiane del confine orientale. Nel 1947 erano state proposte quattro linee di frontiera dalle potenze vincitrici: scartate le proposte sovietica, statunitense e inglese, venne approvata quella punitiva della Francia che cedeva alla Jugoslavia quasi tutta l’Istria (oltre Fiume e Zara) ed istituiva il Territorio Libero di Trieste (T.L.T.) le cui Zone “A” e “B” erano amministrate rispettivamente dagli Alleati e dalla Jugoslavia.
Solamente nel 1954 la Zona “A” con Trieste tornò all’Italia, mentre la Zona “B” – ancora ufficialmente territorio italiano – continuava a essere sottoposta all’Amministrazione jugoslava. Nel 1975, con l’infausto Trattato di Osimo, l’Italia legalizzava anche l’annessione de facto alla Jugoslavia della Zona “B” e la frontiera arrivò alla periferia di Trieste. Tutto ciò provocò il più grande esodo mai avvenuto in quelle terre di frontiera che pure avevano visto succedersi svariate dominazioni. Oltre trecentomila persone preferirono la via dolorosa dell’esilio. Perché migliaia di persone preferirono andarsene? E’ necessaria una risposta che non nasce dall’episodio del trattato ma dalle conseguenze della guerra mondiale in quelle terre da sempre punto d’incontro di culture, tradizioni, modi di vita diversi. La popolazione di cultura italiana, formatasi storicamente già in epoca preromana, quando gli Illiri abitavano di qua e di là dal mare, e consolidatasi in epoca storica, quando la Dalmazia aveva dato papi, imperatori e Padri della Chiesa all’Impero Romano, aveva modellato le pietre, le case e i panorami in modo assai simile a Pisa, Lucca o Venezia rendendo quelle località fucina di cultura e di arte. Storicamente la prima grammatica del volgare italiano è scritta da un dalmata e ogni paese di Istria, Carnaro e Dalmazia ha la sua chiesetta o cattedrale con opere d’arte stupende di autore locale o arrivato dalla penisola ma sicuramente di gusto occidentale. Gli scalpellini Marino e Leo vennero da Arbe in Romagna e le bianche pietre dalmate sono arrivate fino alla Casa Bianca. Quella gente era da secoli abituata a pagare il dazio a diversi capi, catapani, conti o arciduchi di diversa origine ma continuava la propria vita pescando, lavorando le proprie terre a vigneti e oliveti e battezzando in chiesa i propri figli seguendo la messa in latino e le prediche in italiano. La nuova situazione che si era venuta a creare alla fine della seconda guerra mondiale fu per loro un trauma. Bombardamenti, rastrellamenti, fucilazioni, infoibamenti, agguati avevano già reso la vita assai dura per tutta la guerra ma il momento più difficile venne alla fine della guerra quando pensavano di potersi godere la pace. C’è stato il caso di qualcuno ritornato dalla prigionia (ed è capitato a gente proveniente dai campi tedeschi ma anche da quelli inglesi) che, appena riabbracciati i propri familiari, è stato prelevato di giorno o di notte ed è scomparso nel nulla nel 1946, come nel 1947, nel 1948… Molti che avevano superato l’orrore per le foibe e per i campi di concentramento se ne andarono perché veniva loro proibito anche di vivere in casa propria. A coloro che volevano mantenere la cittadinanza italiana venivano sequestrate la casa, il negozio, la terra e non potevano continuare a lavorare: obbligatoria la cittadinanza croata per sopravvivere…e non sempre era sufficiente! Le case più belle erano statalizzate ed assegnate ai gerarchi titini provenienti da lontano. Chi non aveva una bella casa ed era abbastanza sicuro di non essere tormentato, perché le sue idee collimavano con quelle dei nuovi conquistatori, si trovava comunque a non poter vivere come aveva sempre fatto. Doveva parlare la nuova lingua, il croato, che molto spesso non conosceva per nulla, doveva agire in consonanza con usi e costumi che gli erano estranei, non poteva frequentare le scuole italiane perché erano state chiuse. Per cui anche molte famiglie di partigiani abbandonarono le proprie cose e vennero in Italia solo per poter continuare a parlare, mangiare, vivere in italiano. Per i cattolici fu determinante l’oppressione contro la Chiesa e l’impossibilità di seguire la Messa ora detta solo in croato. Si sa di casi di vecchi morti male perché il prete, venuto a confortarli, si ostinava a parlare solo in croato. Insomma tutti gli italiani debbono conoscere la sventura di una popolazione discriminata in tutte le sue convinzioni, abitudini, usi e trattata male perché italiana. Lo scopo era proprio quello di cacciarli da quei posti che all’occhio del nuovo occupante erano ottimi per le popolazioni dell’interno che sarebbero venute a insediarvi un’altra civiltà, un altro modo di vivere. Fortunatamente ora le cose sono cambiate, speriamo che il mondo non scelga più queste metodologie per liberarsi degli indesiderabili. Ma ricordiamoci che neanche un secolo fa gli Italiani sono stati perseguitati dalle popolazioni vicine (non dimentichiamo che i francesi contribuirono, anche se solo in parte) solo perché erano italiani con la banale scusa che erano tutti fascisti. Se si controllano i documenti con attenzione si scopre che tra i gerarchi fascisti del confine orientale c’erano anche ebrei, sloveni e croati, i fedeli amici di Mussolini quindi non erano solo italiani. «Partì l’operaio e l’artigiano, il contadino inurbato ed il manovale, l’ortolano, il bottaio. Il fornaio, il muratore, il veterinario… i calzolai, lo stagnino, il pastaio, il barbiere, i pescatori…Invano avevano cercato di far fronte ad una civiltà incomprensibile. Che cosa avevano mai fatto per meritarsi quel mondo, in cui sentivano di non avere alcuna possibilità di condurre una vita piena, veramente umana?» (da Bora di Anna Maria Mori e Nelida Milani, Ed. Frassinelli 1998)
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