1 marzo 2010: c’è un’Italia che dice no al razzismo di Stato
Oltre 60 città italiane si sono vestite di giallo e hanno detto no al razzismo, alla discriminazione degli stranieri, all’apartheid, alle politiche securitarie xenofobe, dettate dalla destra – e in particolare dalla Lega Nord – ma gradite anche alla nuova sinistra, una sinistra di impronta comunista/statalista che vede nell’uomo forte (oggi, paradossalmente, Silvio Berlusconi) una stella polare: odio e amore sono estremi che, in politica, si toccano con passione. Gli immigrati, simbolicamente, si sono fermati per un giorno, partecipando alle manifestazioni di sciopero. Producono il 9,5% del Pil in Italia, dicono i dati della Camera nazionale dell’Artigianato, e hanno un ruolo focale nell’economia del nostro Paese. A Napoli si è svolto il corteo più numeroso: quasi 30 mila partecipanti. A Roma gli “schiavi” di Rosarno, quelli che non sono ancora stati deportati, hanno sfilato in testa alla processione. “Su di noi si è scritto tanto, ma di concreto si sono solo effettuati arresti e deportazioni nei Cie e in Africa,” ha affermato con preoccupazione uno di loro. “Non sembra che ci sia intenzione di integrarci, ma solo di continuare a perseguitarci”. Nelle altre città, la situazione non era diversa: tanti cittadini antirazzisti, le associazioni più attive sul campo, una rappresentanza di migranti, fra cui decine di coraggiosi “clandestini” che rischiavano l’arresto, ma latitanza da parte delle figure istituzionali. A fare ala ai cortei, uno spiegamento persino esagerato di forze dell’ordine e soldati, a dimostrazione di come sia in corso una militarizzazione del Paese. Alcuni attivisti del Gruppo EveryOne, prima di partecipare alla Manifestazione di piazza Duomo, si sono recati in via Padova, sempre a Milano, dove hanno incontrato gli operatori umanitari che si impegnano ogni giorno “sul campo”, assumendosi grandi rischi, per offrire sostegno alle famiglie “irregolari” e regolari, per consentire agli internati nei Cie di far uscire le loro proteste, le notizie delle condizioni spaventose in cui sono tenuti, i terribili abusi subiti, le loro tragiche istanze di giustizia. Molti degli attivisti riunitisi ieri in via Padova per dar vita, accanto a decine di stranieri che vivono senza diritti, alla marcia per i diritti civili hanno subito aggressioni da parte di uomini in divisa, arresti e condanne da parte di magistrati impreparati a giudicare l’operato di chi ha scelto di salvare vite umane, di proteggere i valori della tolleranza e dell’antirazzismo anziché partecipare all’ondata di repressione che si abbatte ogni giorno contro gli stranieri. Mentre in centro Milano si radunava il “popolo giallo”, in via Padova proseguivano i controlli polizieschi. “Fermano solo chi ha la faccia da straniero,” si lamentava un’anziana donna di origine marocchina con gli attivisti. “Stamattina un gruppo di ragazzi italiani ha percorso via Padova gridando insulti contro i musulmani e attaccando dappertutto etichette razziste. ‘Lega! Lega!’ urlavano, ma la polizia, a loro non diceva niente”. Roberto Malini, e Steed Gamero hanno deposto due vasi di fiori – fiori bianchi e fiori rossi, come in una campagna EveryOne contro la discriminazione e a favore della vita – nel punto in cui sabato 13 febbraio è stato ucciso il giovane egiziano Ahmed Abdel Aziz El Sayed. Mentre Malini, commosso, si inginocchiava a deporre la pianta fiorita in mezzo a tanti altri fiori e messaggi – in italiano, in spagnolo e in arabo – lasciati dai cittadini di via Padova, una volante della polizia si fermava nei pressi, ne scendevano alcuni agenti e restavano a guardare – con espressioni truci – quell’omaggio a una giovane vittima di una città senz’anima. Forse per loro si trattava di una “questione di sicurezza”.
“Di fronte alla foto del povero Ahmed,” racconta Roberto Malini, “abbiamo incontrato egiziani, marocchini, sudamericani, cinesi e anche dominicani. Il dolore, così forte da aver provocato all’inizio accessi impetuosi, subito strumentalizzati dai razzisti, ora è divenuto un fatto intimo. Adesso gli abitanti di viale Padova sono accomunati dal cordoglio. Sono uniti dal pianto e dal ricordo. C’è tanta povertà, ci sono tante differenze, qui in via Padova, ma c’è anche tanto coraggio, c’è anche tanta bellezza”. Le “mamme del Trotter” hanno esposto tre lenzuola, in spagnolo, italiano e arabo, su cui appaiono scritte che invitano alla solidarietà reciproca, perché un ragazzo che perde la vita nel fiore degli ani è una tragedia per tutti, al di là della razza, dell’origine, della religione. “Ci sono agenti armati dappertutto,” prosegue Malini, “ma non sanno che il nemico della città è l’intolleranza. Via Padova dovrebbe essere aiutata con piani di solidarietà, microcredito, piani di riattamento delle abitazioni, progetti di integrazione. Questi ragazzi in divisa che portano pistole e guardano tutti, noi attivisti compresi, con occhi pieni di livore, sono a propria volta vittima di questo clima di ostilità razziale che avvelena Milano e l’Italia. Questi ragazzi, spesso giovani come Ahmed, sono educati all’intolleranza dai loro cattivi maestri. Si sentono supereroi, ma si sono trasformati in ‘supercattivi’. I bambini – quelli con le pelli brune, quelli con gli occhi a mandorla, quelli con i capelli ricciolini – provano un tonfo nel cuore, quando vedono passare una volante e si riempiono di paura”. Secondo Malini, la propaganda anti-stranieri diffusa in questi giorni da tv e giornali ha attirato nuovo odio etnico verso la comunità di via Padova: “Si vedono svastiche tracciate con la vernice, si leggono messaggi che nessuno dovrebbe scrivere, in un Paese civile. Si respira paura, quando ci sarebbe bisogno di unione e fratellanza”.
Nelle foto, i rifugiati somali protestano a Milano; Roberto Malini depone fiori bianchi e raossi in memoria di Ahmed, il giovane egiziano assassinato in via Padova
Per ulteriori informazioni:
Gruppo EveryOne
+39 331 3585406 :: +39 340 8135204
www.everyonegroup.com :: info@everyonegroup.com
Non ci sono commenti, vuoi farlo tu?
Scrivi un commento