Bioterrorismo: un po’ di storia – 1
L’esposizione ad agenti biologici in ambiente di vita e di lavoro è un importante rischio per la salute, che deve essere ben conosciuto, al fine di poter sviluppare una corretta, aggiornata, utile attività d’informazione e mettere in atto validi piani di prevenzione, sorveglianza e controllo delle patologie correlate. La possibile minaccia di atti di terrorismo con impiego di agenti biologici determina una necessità di approfondimento della materia. Nella storia le armi biologiche sono usate da molto più tempo delle armi chimiche o nucleari. Fin dall’antichità sono stati deliberatamente realizzati oggetti di vario tipo per nascondere e trasmettere agenti di malattia al nemico. Come l’impiego di cadaveri o carcasse di animali infetti per contaminare pozzi, cisterne e raccolte d’acqua utilizzate dagli eserciti e dalla popolazione, veleni e altre sostanze tossiche ritrovabili in natura o realizzate ad hoc. Anche il virus del vaiolo è stato sfruttato come arma biologica. Nel 1763 in Nova Scozia Sir Jeffrey Amherst, governatore dello Stato, distribuì ai pellerossa coperte utilizzate negli ospedali in cui si ricoverano i vaiolosi, diffondendo così il morbo tra le tribù indigene; nello stesso periodo gli inglesi mandarono tra i maori, in Nuova Zelanda, gruppi di prostitute malate di sifilide, sterminando così le popolazioni. Più recentemente la guerra biologica ha assunto una connotazione scientifica; lo sviluppo della moderna microbiologia, durante il XIX secolo, ha fornito l’opportunità di isolare e produrre patogeni specifici come, ad esempio, il Bacillus Anthracis e lo Pseudomonas Mallei. La Germania sviluppò un programma di guerra biologica durante il primo conflitto mondiale, infettando il bestiame con gli agenti eziologici dell’antrace e del cimurro. Negli anni ’30 tutti i maggiori Paesi svilupparono programmi di ricerca e di difesa batteriologici nonostante l’adesione al Protocollo di Ginevra (1925), che bandisce (senza dire nulla riguardo alla loro produzione), l’uso bellico delle armi chimiche e quelle biologiche. Nel 1933 un aerosol di batteri Serratia fu liberato vicino una canna di aerazione della metropolitana di Parigi. In seguito a quest’attentato fu sviluppato un programma di controllo su batteri e virus potenzialmente utilizzabili nella guerra biologica. Nello stesso periodo la Gran Bretagna sviluppò un suo progetto, focalizzato sulle spore di antrace e sul loro raggio di diffusione quando lanciate con una bomba convenzionale. L’isola Gruinard, al largo delle coste della Scozia, fu scelta come luogo degli esperimenti e i dati ottenuti sono utilizzati sia dalla Gran Bretagna sia dagli USA. Subito dopo la prima guerra mondiale si cominciò a riflettere sulla pericolosità delle prime armi biologiche scientificamente costruite e presero il via i tentativi diplomatici volti a limitare la proliferazione e l’uso di armi di distruzione di massa. Dalla fine degli anni ’60 le armi batteriologiche, fortunatamente, hanno assunto un’importanza sempre più marginale; le continue ricerche sui microrganismi, hanno, infatti, finito per ridurre a zero i microrganismi “segreti”, cioè quelli contro di cui il nemico non ha alcuna difesa. Finalmente, nel 1972, un trattato internazionale, firmato da 160 Paesi e ratificato da 140 Paesi, ha messo al bando tutte le armi batteriologiche (Biological and Toxin Weapons Convention). Nonostante questo divieto, verso la metà degli anni ’80, la corsa alle armi batteriologiche è ripresa con vigore, continuando fino ai nostri giorni. Da allora la storia dei trattati va di pari passo con quella degli esperimenti sulle armi biologiche che continuano in molti paesi. Mentre nel passato le armi biologiche erano pensate e costruite soprattutto per aggredire gli eserciti nemici, oggi è la popolazione civile ad essere bersaglio di queste armi da parte di gruppi terroristici. L’uso, a volte, di armi biologiche rappresenta un grave problema di sanità pubblica. In caso di attacco bioterroristico, le prime risposte devono arrivare dalla polizia, dai vigili del fuoco e dal personale medico delle vicinanze. È chiaro che nei primi momenti dopo l’incidente non si conosce la natura dell’agente infettante, per cui è importante coinvolgere, nei piani di emergenza, anche esperti microbiologi (da inviare eventualmente sul campo per i rilevamenti o i campionamenti del caso) che possano fornire risposte più precise e in tempi brevi. Il tentativo fallito della setta giapponese della Sublime Verità di spargere un liquido con spore di antrace è stato, all’inizio degli anni Novanta, il primo attentato di bioterrorismo della storia. Anche Al Qaida ha tentato senza successo di produrre armi biologiche in laboratori ubicati nelle città afghane di Jalalabad e Kandahar. Tuttavia, nonostante l’ampia risonanza che questa minaccia ha avuto, si conoscono pochi tentativi di azioni vere e proprie, da parte di gruppi terroristici, volte a provocare eccidi tra la popolazione civile mediante l’impiego di agenti CBRN. Fa eccezione il caso di contaminazione da salmonella di 751 persone (con esito non letale) da parte della setta di Rajneesh in Oregon negli Stati Uniti nel 1984 e i diversi attentati commessi dall’Aum Shinri Kyo in Giappone, con l’uso di agenti chimici e biologici, che nel giugno del 2004 hanno provocato la morte di sette persone e il ricovero di duecento a Matsumoto, e dodici morti e il ricovero di mille persone a Tokio. Con gli attentati all’antrace negli USA, nell’autunno 2001, e i più recenti attacchi alle reti del trasporto pubblico di Madrid e Londra, anche l’Europa si prepara a uno scenario ancora peggiore. Nell’agosto 2005, le rivelazioni che una cellula di Al Qaeda stava progettando un attentato con gas sarin contro la Camera dei Comuni britannica, nonché un incidente, avvenuto nel maggio del 2004, con il lancio di profilattici pieni di una polvere viola contro il Primo ministro Tony Blair, durante l’ora delle interrogazioni, hanno messo in luce l’alto grado di vulnerabilità dei parlamenti nazionali e la mancanza di preparazione a gestire casi del genere. Come reazione a questi eventi, su entrambe le sponde dell’Atlantico sono state promosse misure volte a individuare metodi adeguati per la rilevazione di eventuali attacchi con agenti biologici. Gli USA hanno mostrato l’impegno maggiore con un’iniziativa globale denominata “Biodefense for the 21st Century”, lanciata nell’aprile 2004 dal Presidente Bush. Secondo uno studio, dopo l’11 settembre, i fondi di bilancio complessivamente stanziati per la difesa da agenti biologici sono aumentati di sedici volte, da 305 milioni di dollari nell’esercizio 2001 a circa 5 miliardi di dollari per gli esercizi 2004, 2005 e 2006. L’incremento dei finanziamenti destinati alla ricerca nel settore della difesa da agenti biologici del National Institute of Health è ancora più sorprendente: essi sono aumentati di 34 volte dal 2001 al 2006. Per contro, il governo britannico nel bilancio 2003 ha stanziato 260 milioni di sterline per misure di lotta contro il rilascio di agenti biologici. (continua)
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