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La poesia di Aksana Danilchyk

La poesia di Aksana Danilchyk
Dicembre 05
09:56 2016

Riflessioni di Aldo Onorati

Certo, ho dovuto leggere in traduzione le liriche di Aksana Danilchyk, alcune delle quali riporterò in questo breve articolo che l’editore, e poeta egli stesso, Armando Guidoni ospita sul suo diffuso giornale “Controluce”.

Nata nel 1970 a Minsk (Belarus),  Aksana ha conseguito la Laurea in Lettere nel 1993. Dottoressa di ricerca in Letteratura bielorussa e straniera (italiana), ha pubblicato numerosi articoli e saggi tra cui La ricezione di Dante in letteratura bielorussa dell’Ottocento – Novecento (2006) e Il romanticismo italiano ed i motivi patriottici della letteratura bielorussa (2008). Èautrice, fra l’altro, dei seguenti libri di poesia: L’Immagine dello Scorpione (“Aбрыс Скарпіёна”, 1996), Il mezzogiorno (“Поўдзень”, 2006), Il sogno che non si può proibire (“Сон, які немагчыма забараніць”, 2011). Ha scritto anche un libro di poesie per bambini: La ragnatela sull’uva spina (“Павуцінка на агрэсце”, 2005).
Aksana Danilchyk ha tradotto diversi testi dall’italiano in bielorusso tra i quali I Sepolcri di Ugo Foscolo, Del principe e delle lettere di Vittorio Alfieri ecc. Le sue poesie sono state tradotte in russo, ucraino, polacco, lituano, inglese.  Ed ora in italiano da Marco Ferrentino che attualmente gestisce  in Kazakistan il Centro Studi di lingua italiana “Il Camaleonte”.

Questa, in grande sintesi, la sua biografia. Si intende che è un’operatrice culturale attiva, ma al presente brano interessano le sue poesie. L’Arte, a differenza della politica e dell’economia (talvolta, ahimé, delle stesse religioni) affratella i popoli. E ne ho giornalmente la riprova da quando avevo venti anni  e conobbi il poeta peruviano Francisco Bendezù Prieto: eravamo di terre agli antipodi, ma subito l’amore suo per Dante e Leopardi, il mio per José Eustasio Rivera e Anton Machado, ci unirono in un’amicizia che durò nel tempo. Forse, le vere affinità elettive le ho incontrate – tolti alcuni connazionali e concittadini la cui amicizia dura da una vita – coi miei traduttori: e senti che i meridiani e i paralleli, i confini degli Stati, le distanze si disfano in un attimo, nel legame degli amori comuni verso gli autori del cui latte ci siamo nutriti vicendevolmente (e allora ti accorgi che la razza umana è una sola, unico lo spirito che lega gli uomini attraverso la Storia, anche se è inevitabile che molti divergano dalla linea principale del sentire comune: se così non fosse, come farebbero artisti di ogni latitudine e tempo a far palpitare popoli distanti per religione, politica, clima, abitudini, cultura, costumi e intendimenti?).

Ciò premesso, perché necessario al contesto, una volta traslata la lingua e mutati i segni rappresentativi dell’alfabeto (i quali sono codici attraverso cui si esprime il pensiero), ho trovato – leggendone le liriche – una conferma (attraverso Aksana) di quanto ho detto prima: il sentire, i problemi, i rimbalzi della vita nel nostro cuore, le speranze, i timori, la visone del cielo come destino o speranza, sono simili per tutti gli esseri. Leggiamo, infatti, questa poesia presa dal libro “L’Immagine dello scorpione”, due stanze tetrastiche di notevole forza espressiva:

“Sotto le onde armoniose del canto degli uccelli
guardo le frecce sottilissime dell’erba.
E il vento impudico – la mia unica sentinella –
sulla schiena nuda disegna meridiani e paralleli.

Dove siete, vele lontane del mare dolce-azzurro,
collane di conchiglie sul petto sodo della riva?…
Tra i pini melodiosi e le reti delle ragnatele
si ricorda la forza del ritroso Dio marino…”

Una ricchezza immaginativa dà il senso di un abbandono dell’essere agli elementi di una natura che si fonde in armonia con l’uomo, dove la tentazione di avocare il “ritroso” Dio marino è la metafora del Mistero dell’esistenza, grandiosa come il mare, impudica come il vento che svela ciò ch’è nascosto ma, al contempo, ne serba i segreti fra  le cose antifrastiche del mondo (onde armoniose e frecce dell’erba, pini melodiosi per il canto degli uccelli e reti ambigue di ragnatele).

Ma il registro cambia negli ipometri di quest’altra lirica appartenente alla stessa raccolta:

“Ogni uomo ripete
il destino
del Piccolo Principe.
Perché è solo nell’Universo.
Gli amici col tempo
lo abbandonano,
il sogno ricamato –
amore-
regala felicità a due su mille.
E non s’evita l’inevitabile
come non si raggiunge
la perfezione.
La solitudine si spande
come caffé nero.
L’uomo soffre nell’intrico
della propria anima.
E l’unica soluzione è
il bacio del serpente”.

Qui l’autrice detta nettamente, senza commenti di sorta, a mo’ di sentenze, con dignità di proverbio, le sue convinzioni, che possono trovare riscontro nelle anime gemelle o rimbalzo in chi ha altre convinzioni, ma la chiusa lascia sospeso il lettore, in quanto il pessimismo si travolge in liricità proprio grazie alla chiusa.

Concludo, per motivi di spazio, ma spero di aver offerto ai lettori un’atmosfera lirica di essenza anche nostrana (sembra di leggere una poetessa italiana, dalla sensibilità mediterranea, vicina a noi per simbolismi e palpiti: ma l’arte – ripeto e  confermo – non ha confini, altrimenti l’antico Omero non sarebbe più attuale del giornale quotidiano che dopo poche invece ore è già vecchio; l’antica “Epopea di Gilgamesh” non attrarrebbe al mistero della vita e della morte il nostro essere a distanza di migliaia di anni e di luoghi). Con questa breve stanza concludo le mie  riflessioni:

“Insuperabile Maestro
dei paesaggi autunnali,
regalami di nuovo lo spazio
riempito di lana grezza
penetrata dalle cuspidi
dei monasteri e dei campanili,
per non lasciarmi più vedere la terra
dalla punta di questa collina,
ma soltanto le croci che
planano al di sopra dell’infinità nebbiosa”.

È interpretato il desiderio universale di evadere dalla quotidianità ripetitiva e talvolta crudele, verso il sogno. Il sogno: unica nostra dimensione, come il velo delle Grazie  cantato da Ugo Foscolo. E tutti i versi hanno la loro essenzialità che volge veloce alla chiusa: il distico finale composto da una sorta di sineciosi, d’una forza espressiva  indimenticabile.

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